- Essere presenti alle partite
- Fare il tifo
- Non dare suggerimenti e giudizi
- Incoraggiare
- Non criticare
- Non urlare in modo agitato
- Accettare ogni risultato
- Avere fiducia nel figlio e nella sua squadra
- Evitare imbarazzi al figlio
- Avere passione per lo sport praticato dal figlio
- Complimentarsi alla fine di ogni gara con il figlio e i suoi compagni di squadra
mercoledì 22 febbraio 2012
Come i figli vorrebbero i genitori
Da una ricerca effettuata tra i ragazzi di età 8-12 anni praticanti attività sportive si sono ricavate le seguenti indicazioni su come i ragazzi vorrebbero i genitori:
Carta dei diritti del bambino nello sport
Leggendo la carta dei diritti del bambino nello sport, redatta a Ginevra nel 1992 dall'UNESCO, sono stata molto colpita dal terzo articolo: "Diritto di beneficiare di un ambiente sano". Questo articolo non si riferisce solo all'ambiente fisico, ma anche alle relazioni sociali che si instaurano in questo ambiente, quindi quelle con gli allenatori e i genitori. Molte volte sono proprio i genitori i primi a volere che il figlio si alleni in un ambiente sano, ma sono sempre loro i primi che lo contaminano. A questo proposito è consigliata la lettura del brano tolto dal testo ” Racconti Pallonari ” di Bruno Etrari – 1995″: ‘Lo sai papa, che quasi mi mettevo a piangere dalla rabbia, quando ti sei arrampicato alla rete di recinzione, urlando contro l’arbitro? Io non ti avevo mai visto così arrabbiato! Forse sarà anche vero che, lui, l’arbitro, ha sbagliato; ma quante volte io ho fatto degli errori senza che tu mi dicessi niente ….
Anche se ho perso la partita ”per colpa dell’arbitro”, come dici tu, mi sono divertito lo stesso.
Ho ancora molte gare da giocare e sono sicuro che se non griderai più, l’arbitro sbaglierà di meno…. Papà, capisci, io voglio solo giocare, ti prego lasciamela questa gioia, non darmi suggerimenti che mi faranno innervosire: “tiraaa”, “passaaa”, “buttalo giù”. Mi hai sempre detto di rispettare tutti, anche l’arbitro e gli avversari e di essere educato … e se “buttassero giù” me, quante parolacce diresti? Un’altra cosa papà : quando il “mister” mi sostituisce o non mi fa giocare, non arrabbiarti! Io mi diverto anche a vedere i miei amici stando seduto in panchina. Siamo in tanti ed è giusto far giocare tutti (“come dice il mio Mister”).
E, per piacere, insegnami a pulire le mie scarpe da calcio, non è bello che tu lo faccia al posto mio, ti pare?
E, scusami papà , non dire alla mamma, al ritorno dalla partita “oggi ha vinto “ o “ha perso” , dille solo che mi sono divertito tanto e basta.
E poi non raccontare, ti prego, che ho vinto perché ho fatto un gol bellissimo: non è vero papà! Ho buttato il pallone dentro la porta perché il mio amico mi ha fatto un bel passaggio, il mio portiere ha parato tutto, perché assieme agli altri miei amici, ci siamo impegnati moltissimo: per questo abbiamo vinto (“ce lo ha detto anche il mister”). E ascoltami papà, non venire nello spogliatoio, al termine della partita, per vedere se faccio bene la doccia o se so vestirmi, ma che importanza ha se mi metto la maglietta storta? Papà, devo imparare da solo, sta sicuro che diventerò grande anche se avrò la maglietta rovesciata, ti sembra?
E lascia portare a me il borsone, vedi? C’è stampato sopra, il nome della mia squadra e mi fa piacere far vedere a tutti che io gioco a pallone.
Non prendertela, papà, se ti ho detto queste cose, lo sai che ti voglio tanto bene….. ma adesso è già tardi, devo correre al campo per l’allenamento. Se arrivo ultimo il “mister” non mi farà giocare, la prossima volta…. Ciao.’
Anche se ho perso la partita ”per colpa dell’arbitro”, come dici tu, mi sono divertito lo stesso.
Ho ancora molte gare da giocare e sono sicuro che se non griderai più, l’arbitro sbaglierà di meno…. Papà, capisci, io voglio solo giocare, ti prego lasciamela questa gioia, non darmi suggerimenti che mi faranno innervosire: “tiraaa”, “passaaa”, “buttalo giù”. Mi hai sempre detto di rispettare tutti, anche l’arbitro e gli avversari e di essere educato … e se “buttassero giù” me, quante parolacce diresti? Un’altra cosa papà : quando il “mister” mi sostituisce o non mi fa giocare, non arrabbiarti! Io mi diverto anche a vedere i miei amici stando seduto in panchina. Siamo in tanti ed è giusto far giocare tutti (“come dice il mio Mister”).
E, per piacere, insegnami a pulire le mie scarpe da calcio, non è bello che tu lo faccia al posto mio, ti pare?
E, scusami papà , non dire alla mamma, al ritorno dalla partita “oggi ha vinto “ o “ha perso” , dille solo che mi sono divertito tanto e basta.
E poi non raccontare, ti prego, che ho vinto perché ho fatto un gol bellissimo: non è vero papà! Ho buttato il pallone dentro la porta perché il mio amico mi ha fatto un bel passaggio, il mio portiere ha parato tutto, perché assieme agli altri miei amici, ci siamo impegnati moltissimo: per questo abbiamo vinto (“ce lo ha detto anche il mister”). E ascoltami papà, non venire nello spogliatoio, al termine della partita, per vedere se faccio bene la doccia o se so vestirmi, ma che importanza ha se mi metto la maglietta storta? Papà, devo imparare da solo, sta sicuro che diventerò grande anche se avrò la maglietta rovesciata, ti sembra?
E lascia portare a me il borsone, vedi? C’è stampato sopra, il nome della mia squadra e mi fa piacere far vedere a tutti che io gioco a pallone.
Non prendertela, papà, se ti ho detto queste cose, lo sai che ti voglio tanto bene….. ma adesso è già tardi, devo correre al campo per l’allenamento. Se arrivo ultimo il “mister” non mi farà giocare, la prossima volta…. Ciao.’
I figli, lo sport e noi genitori ultras
Mamme che disquisiscono con pazienti mister dai capelli grigi sul perchè il proprio pargolo non è stato schierato sulla fascia sinistra ma nell’oscuro ruolo di centrale difensivo. Padri che cronometrano di nascosto i 25 metri delfino dell’erede perchè dell’orologio appeso in piscina non si fidano. Genitori che nottetempo studiano su Internet il regolamento sui punteggi da attribuire ad una trave perfettamente eseguita dalle loro mini ginnaste.
Non sono casi rari: con qualche esagerazione, siamo noi genitori di questi tempi di bambini normodotati di 5, 6, 7, 8 anni a dir tanto. Bambini che vengono portati con assiduità a frequentare corsi di nuoto, scuole calcio, stage di danza, lezioni di judo, perchè “fa bene al corpo e al carattere”, ci diciamo nell’attimo della prima iscrizione, credendoci davvero.
Giusto, giustissimo. Il problema però è che, oggi in età molto più precoce di un tempo, i bambini finiscono in una spirale di competizioni a catena – che vorrebbero essere coinvolgenti e giocose per chi vi partecipa – ma che invece finiscono per diventare fonte di ansia e di aspettative per frotte di genitori amorevoli e perbene che mai si sarebbero immaginati di ritrovarsi appiccicati alla rete di un campetto di periferia a discettare con i genitori altrettanto amorevoli e perbene dei bimbi della squadra avversaria su quale criterio sia mai stato adottato in questo torneo di calcetto perché “si vede benissimo, mi scusi, che nella vostra squadra non ci sono solo 2003-2004, quello lì alto e biondo è almeno un 2002, mentre da noi gioca perfino un 2005, e dunque chiaro che poi i vostri segnano tre gol..”.
Per non parlare delle micro-ginnaste che ti saltellano ininterrottamente per casa esibendosi in tre ruote consecutive e poi, nella gara a circa 60 chilometri da casa, inciampano sul tappetino prima della capriola finale: “Sa, la bambina è emozionata, e ieri aveva la febbre, e ha dormito poco, e sarà il cornetto alla panna che l’ha appesantita stamattina…” ci si trova a inventare per giustificare l’esibizione un po’ così che a lei è sembrata meravigliosa (“Mamma, hai visto che io avevo gli chignon più grandi di tutte! Me li fai domani all’asilo?!”, dice radiosa la bimba), ma che al genitore può provocare quel pizzico di amara delusione che, dopo anni di allenamento per non diventare un orrido orco che urla insulti agli avversari dei figli o si accapiglia con gli arbitri, stupisce per primo chi lo prova.
Sarà perchè, appunto, i nostri figli sono già in competizione prima di aver imparato a leggere e noi – che alla loro età giocavamo liberi, senza regole nè voti nè ruoli prestabiliti e soprattutto senza genitori onnipresenti a seguirci passo per passo - non siamo abbastanza preparati? Conterà il fatto che a gare, garette, saggi, mini-tornei, esibizioncine vengono iscritti d’ufficio bambini e bambine palesemente non in grado di eccellere nello sport in cui si cimentano e magari (può capitare, non è un dramma), in nessuno di quelli conosciuti? O peggio ancora, per i più sfortunati (ovvero padri e madri di bambini piuttosto dotati dei quali però, se va bene, uno su cinquantamila vedrà mai scritto il suo nome su un qualsiasi palmarès), peserà la speranza di aver generato il prossimo Totti, la prossima Pellegrini? Cos’è insomma che ci trasforma in quell’ora di gradinata in versione “tifoso di mio figlio” in persone che, diciamocelo, a guardarle da fuori non troviamo così simpatiche?
Tratto da un articolo del Corriere della sera, la ventisettesima ora.
Non sono casi rari: con qualche esagerazione, siamo noi genitori di questi tempi di bambini normodotati di 5, 6, 7, 8 anni a dir tanto. Bambini che vengono portati con assiduità a frequentare corsi di nuoto, scuole calcio, stage di danza, lezioni di judo, perchè “fa bene al corpo e al carattere”, ci diciamo nell’attimo della prima iscrizione, credendoci davvero.
Giusto, giustissimo. Il problema però è che, oggi in età molto più precoce di un tempo, i bambini finiscono in una spirale di competizioni a catena – che vorrebbero essere coinvolgenti e giocose per chi vi partecipa – ma che invece finiscono per diventare fonte di ansia e di aspettative per frotte di genitori amorevoli e perbene che mai si sarebbero immaginati di ritrovarsi appiccicati alla rete di un campetto di periferia a discettare con i genitori altrettanto amorevoli e perbene dei bimbi della squadra avversaria su quale criterio sia mai stato adottato in questo torneo di calcetto perché “si vede benissimo, mi scusi, che nella vostra squadra non ci sono solo 2003-2004, quello lì alto e biondo è almeno un 2002, mentre da noi gioca perfino un 2005, e dunque chiaro che poi i vostri segnano tre gol..”.
Per non parlare delle micro-ginnaste che ti saltellano ininterrottamente per casa esibendosi in tre ruote consecutive e poi, nella gara a circa 60 chilometri da casa, inciampano sul tappetino prima della capriola finale: “Sa, la bambina è emozionata, e ieri aveva la febbre, e ha dormito poco, e sarà il cornetto alla panna che l’ha appesantita stamattina…” ci si trova a inventare per giustificare l’esibizione un po’ così che a lei è sembrata meravigliosa (“Mamma, hai visto che io avevo gli chignon più grandi di tutte! Me li fai domani all’asilo?!”, dice radiosa la bimba), ma che al genitore può provocare quel pizzico di amara delusione che, dopo anni di allenamento per non diventare un orrido orco che urla insulti agli avversari dei figli o si accapiglia con gli arbitri, stupisce per primo chi lo prova.
Sarà perchè, appunto, i nostri figli sono già in competizione prima di aver imparato a leggere e noi – che alla loro età giocavamo liberi, senza regole nè voti nè ruoli prestabiliti e soprattutto senza genitori onnipresenti a seguirci passo per passo - non siamo abbastanza preparati? Conterà il fatto che a gare, garette, saggi, mini-tornei, esibizioncine vengono iscritti d’ufficio bambini e bambine palesemente non in grado di eccellere nello sport in cui si cimentano e magari (può capitare, non è un dramma), in nessuno di quelli conosciuti? O peggio ancora, per i più sfortunati (ovvero padri e madri di bambini piuttosto dotati dei quali però, se va bene, uno su cinquantamila vedrà mai scritto il suo nome su un qualsiasi palmarès), peserà la speranza di aver generato il prossimo Totti, la prossima Pellegrini? Cos’è insomma che ci trasforma in quell’ora di gradinata in versione “tifoso di mio figlio” in persone che, diciamocelo, a guardarle da fuori non troviamo così simpatiche?
Tratto da un articolo del Corriere della sera, la ventisettesima ora.
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