Tutto ciò parte sicuramente da buoni propositi, perché i genitori sono automaticamente orientati a desiderare il meglio per i figli e a evitare di commettere con loro gli errori commessi. Ma occorre anche evitare di perdere il contatto con la realtà.
«Il mio papà e la mia mamma invece mi fanno sempre i complimenti alla fine di ogni partita. Anche quando la mia squadra ha perso. Mi dicono che l’importante è partecipare e che il risultato finale non conta. E io penso che abbiano proprio ragione, perché dai… non siamo mica dei calciatori veri come Ronaldinho o Kakà…»
Da vari studi condotti sul rapporto fra gli atteggiamenti dei genitori e le attività sportive dei figli emerge che le famiglie dei ragazzi molto dotati sono particolarmente coese e al loro interno intrattengono relazioni piuttosto chiuse.
Queste ricerche tendono ad evidenziare come in queste famiglie aleggi una forma di focalizzazione sul bambino (child-centeredness). Ciò significa che gli adulti attribuiscono valori più elevati a dimensioni come rendere al massimo, il successo, la vittoria, la produttività, l’eccellenza, la persistenza. Dei valori che spingono padri e madri a controllare i compiti scolastici dei loro figli e gli impegni di allenamento sportivo, ad assistere alle lezioni di piano, agli incontri di nuoto, alle partite di basket, a preoccuparsi spesso di iscrivere il bambino alle attività per cui è dotato, fungendo da primi insegnanti e partecipando direttamente.